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EMIGRATI E IMMIGRATI DELLA SARDEGNA

31 marzo 2009 - Ultima da Berlino

Di Lidia Vinci

Questo è il mio ultimo giorno a Berlino, ma non tutti lo sanno. Non l'ho detto a molti, e solo per evitare le solite domande, che odio. Partirebbero le raffiche di "E come mai hai cambiato idea?", "E cosa farai con l’università?", e chissà quali altre domande, non ho voglia di immaginarne altre, queste due mi bastano già. Non ho una sensazione precisa che accompagni il mio ultimo giorno, se non quella costante, e che persiste ormai da giorni e giorni, di essere stanca. Stanca di essere qui. Oggi vedrò ancora una volta Maja e Magda, berremo qualcosa insieme, forse mangeremo anche qualcosa, poi andrò a letto presto perché ho il treno per l’aeroporto alle 4 del mattino, ma so già che non dormirò, quindi: a letto ci andrò presto ma non per dormire, farò qualcos’altro, forse guarderò un film, non ho ancora deciso, e non devo certo decidere ora. Ho comprato anche un libro da leggere in aereo, perciò non voglio leggerlo stanotte, anche se l’ho già iniziato per curiosità e noia, ma sono riuscita ad interrompermi in tempo appena ho notato che rischiavo di finirlo prima delle 18, ora dell’appuntamento con Maja e Magda.

Oggi è il mio ultimo giorno a Berlino eppure non sono triste, anche se qui sto lasciando un mondo. Sto lasciando qui a Berlino un mondo intero in cui ho vissuto per un anno, ecco perché non sono triste. Non sono triste proprio perché mi trovo fisicamente a Berlino da un anno e mezzo, ma solo per un anno ci ho vissuto davvero, poi ho deciso di andar via, ma non ho potuto, e in modo precario così come è iniziata, la mia esistenza qui è anche finita: impotente, in attesa di tempi migliori. Ma al contrario dell’inizio, questa fine non è, nonostante la precarietà e l’impotenza, nuova e interessante, ma è piuttosto già vista e non voluta. Questo fa la differenza: il volere una cosa o il subirla.
Non sono triste perché è da sei mesi che sono pronta ad andarmene, che mentalmente ho già salutato tutti; realmente e personalmente ho salutato tutti da due mesi, ed ora mi resta solo la sveglia alle 3 e 30 e un viaggio di ritorno, che io però non vedo come tale. Ho salutato tutti da due mesi, ed ora mi restano solo Maja e Magda, dopo un anno di vita a Berlino e una marea incredibile di conoscenze fatte, così tante contemporaneamente come mai in vita mia mi era capitato, al punto che qualcuno di voi un tempo mi fece notare che conoscevo più persone e avevo più impegni sociali dopo sei mesi a Berlino che in tutti e due gli anni a Siena.

Ma dovevo, capite? Non si può imparare una lingua se non si frequentano persone che parlano e capiscono quella lingua, e per studiarla alla scrivania della mia camera, me ne sarei rimasta in Italia e avrei fatto molti meno sacrifici.
Ma ora ho imparato il tedesco, ho raggiunto il mio obiettivo, ossia posso salire su un aereo diretto in Italia, con in tasca un biglietto di sola andata, salutare con un hallo! la hostess dai capelli neri, probabilmente italiana, guardarmi attorno con tranquillità, perché Easy Jet prevede l’assegnazione libera dei posti ed io salgo sempre per ultima in modo da poter rimanere più a lungo seduta sulle sedie nella sala d’attesa, anziché stare mezz’ora in piedi in fila all’imbarco con lo zaino da 20 chili che mi piega la schiena in posizione innaturale, ma anche per non dover perdere tempo sull’aereo, in piedi nel corridoio fra i sedili, indecisa su quale posto scegliere: il posto vicino al finestrino nella fila di tre ancora vuota, rischiando di venire affiancata dal puzzone di turno, o un posto vicino al corridoio, ché tanto dormo e il finestrino a distanza di naso non mi serve? Perché perdere tempo per l’indecisione, se si può salire sull’aereo per ultimi e sedersi al posto che il Comitato d’Accoglienza dell’Aeromobile (composto da tutti gli altri passeggeri), ha riservato per me?

Sì, esatto, parlo dell’unico posto rimasto libero, non importa dove e di fianco a chi, tanto io dormirò per tutto il tempo, anche se sì, ho comprato un libro da leggere in aereo, ma pensavo già di tenermelo per l’aeroporto, dato che arriverò a Cagliari per le nove e a quell’ora tutti gli esseri viventi disposti a venirmi a prendere (vedete alla voce: Patrizia) lavorano, e forse dovrò aspettare un po’ prima di uscire fisicamente dall’aeroporto e di arrivare mentalmente in Italia, e questo lo dico con un pensiero al mio primo cappuccino italiano, che temo sarà uno schifo camuffato da prodotto tipico, e un altro pensiero al libro che ho comprato, ed ora che ci penso era proprio di questo che stavo parlando quando dicevo che ora ho raggiunto il mio obiettivo, ossia posso salire su un aereo diretto in Italia, con in tasca un biglietto di sola andata, salutare con un hallo! la hostess dai capelli neri, probabilmente italiana, guardarmi attorno con tranquillità, perché il mio posto mi è stato assegnato per esclusione dagli altri passeggeri, quindi non devo fregarlo a nessuno in una corsa contro il tempo, poi posso infilare il mio zaino da 20 chili nella cappelliera, ricordandomi prima di sedermi e di allacciare la cintura che devo spegnere un cellulare, quello da lasciare nello zaino, e mettermi l’altro in tasca, per mandare un ultimo messaggio a Pat, prima del decollo e del divieto assoluto di tenere i cellulari accesi, per comunicarle un eventuale ritardo nella partenza, o una più rara e apprezzabile puntualità; prima di sedermi e di allacciare la cintura prenderò dallo zaino anche il mio nuovo romanzo, ed era proprio questo che volevo dirvi quando dicevo che ora ho raggiunto il mio obiettivo, ossia posso salire su un aereo e scegliere se dormire o se trascorrere le due ore e mezzo del volo leggendo un romanzo in tedesco, romanzo che stamattina mi sono trattenuta dal portare avanti, perché mi stava appassionando e rischiavo di finirlo prima delle 18, ora dell’appuntamento con Maja e Magda, e invece come vi ho detto l‘ho comprato per leggerlo sull‘aereo o, in alternativa, all‘aeroporto di Cagliari-Elmas mentre aspetto Pat.

Un libro che non si capisce, non può nemmeno appassionare.
Non sono triste, vi dicevo, ma ho solo voglia di andarmene nonostante non ci sia nulla che mi aspetti, perché trovo più inquietante il nulla che mi tratterrebbe, quindi partirò, dopo aver salutato per l’ennesima volta questa settimana Maja e Magda, le uniche persone, di una miriade di conoscenze berlinesi, che io ora porterò con me e che lentamente e prudentemente comincerò a chiamare "amiche" anziché ex-colleghe. E lascerò qui, senza nemmeno mezza parola, molte altre persone che, nate come colleghe o compagne di corso o coinquiline, sono anche morte come tali, senza trasformarsi in crisalide e poi in farfalla in una fase intermedia tra la loro nascita e la loro morte nel mio mondo. La selezione ha avuto il suo corso anche stavolta.

E tornerò, con la netta sensazione che il tempo si sia fermato nell’ottobre del 2007, quando presi quell’aereo senza sapere nemmeno dove stavo andando, letteralmente. E tornerò, scoprendo che l’ultima volta che ci sono stata era il 2007, l’ultima volta che ho preso il sole in spiaggia era il 2007, l’ultima volta che ho fatto tante cose era il 2007, l’ultima volta che ho visto tante persone era il 2007. E queste persone saranno cambiate? Forse l’impressione non sarà che il tempo si sia fermato, ma piuttosto quella di risvegliarmi dopo un coma o di ritrovare la memoria e riconoscere di nuovo le persone dopo due anni di incoscienza, dopo due anni che, tradotti in termini reali, sono solo due anni di lontananza totale. I contatti ci sono stati, è vero, con poche persone e talvolta anche con una certa frequenza, ma non è come essere vicini, perché ora so che io vi ho sempre tenuti aggiornati su tutto quello che mi succedeva a Berlino, scrivendovi ogni giorno le mie novità e vicissitudini, ma voi non l’avete mai fatto, se non con poche parole riassuntive, e talvolta con l’imbarazzo di chi teme che le sue frasi stentate risultino ridicole di fronte ai miei romanzi di tre tomi a botta, nonostante ciò che scrivo io sia a volte solo un mucchietto di cazzate ben raccontate in confronto all‘importanza di ciò che avreste voi da raccontare. E poi l’ho detto: scrivere a distanza, non è mai come essere vicini.

Io tornerò e scoprirò che in realtà non so più nulla di voi, che ciò che so è solo una parte del tutto, e che tante cose le scoprirò col tempo perché verranno fuori all’improvviso, avvolte dalla loro scarsa importanza, o dalla straordinarietà dell’evento a cui si ricollegheranno nel tempo, o semplicemente portate a mia conoscenza dal caso. E so anche che tante cose non verrò mai a saperle, perché pensavo di avertelo detto, credevo che non t’importasse, me ne sono proprio dimenticato, ma se è una storia vecchissima e chi se la ricorda più. Ed io manterrò un po’ del mio vuoto di due anni.
E questo sarà come rinascere o ricominciare da capo? O mi sentirò come se mi mancasse qualcosa? O è solo una constatazione momentanea che poi, quando fisicamente sarò lì con voi, scorderò? E come sarete voi nei miei confronti? Crederete che io sia cambiata? Penserete che in fondo sia sempre la stessa? Farete finta di niente, come se questi due anni fossero nulla, o percepirete anche voi che qualcosa di nuovo c’è, qualcosa di nuovo rispetto al 2007, e non qualcosa di nuovo in me, ma qualcosa di nuovo anche in voi?
Non sarà più come prima. Ma non è detto pensando al peggio: è detto pensando alle esperienze che cambiano la fisionomia delle persone che le vivono.

Ora ho salutato tutte per sempre, e all’improvviso arriverà un giorno che sarà lontano in cui dirò loro quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo viste!, perché ci sono ostacoli nella vita che hanno un prezzo espresso in euro, perché ci sono periodi della vita che scorrono veloci davanti a noi, perché ci sono cose nella vita che ci permettono di sentirci vicini anche quando siamo lontani, e non parlo di internet o del telefono, né delle poste italiane, per carità: parlo della memoria, del ricordo che di certe persone o di certe città noi portiamo sempre con noi, indipendentemente da ciò che i nostri occhi possono vedere a livello cosciente o di coloro che le nostre braccia possono abbracciare a livello da mozzare il respiro. All’improvviso arriverà un giorno che sarà lontano in cui dirò loro quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo viste, e subito dopo penserò che questa scena l’ho già vissuta, con altri volti, con altre città, con altri ricordi risvegliati all’improvviso da un abbraccio troppo stretto o da un cielo che avevo osservato così tanto da averlo imparato a memoria.

O forse invece lo sono. Triste intendo, perché tutto ciò che ho vissuto fino ad oggi, sei mesi di distacco mentale compresi, da domani finirà, si chiuderà quel mondo che mi ha ospitata fino ad oggi, il cielo e i volti rimarranno nella mia mente per sempre (caso di perdita di memoria escluso), mentre le sensazioni spunteranno all’improvviso, afferrandomi quando meno me l’aspetto, basterà un soffio di vento, un uccellino che canta, una nuvola bizzarra, un profumo nell’aria, le note di una canzone, una lettera affrancata per ricevere nella mia mente come un fulmine a ciel sereno un’immagine, una sensazione, un ricordo che mi riportino qua in un attimo, quasi come se non me ne fossi mai andata. Sono scene già vissute, con altri volti, con altre città. Sono scene che ho già vissuto, ecco perché forse invece lo sono. Triste intendo, perché so già cosa significherà per me andarmene, lasciare, e non rivedere per chissà quanto tempo. Sono scene che ho già vissuto, e da cui ho imparato che è meglio affezionarsi ad una città fino a sentirla propria, o ad una persona fino a riuscire a definirla amica, pur sapendo e temendo che un giorno la si dovrà lasciare, ma averla poi per sempre nel cuore, piuttosto che non provare mai la sensazione di avere una città, o una persona, nel cuore e nelle mente per sempre, caso di perdita di memoria escluso.

E se davvero sono triste, domani non dormirò, domani non leggerò, domani non salirò per ultima sull’aereo ma farò una corsa contro il tempo per accaparrarmi un posto vicino al finestrino, incurante del rischio di venire affiancata dal puzzone di turno, e del fatto che forse al momento della partenza non ci sarà granché da vedere, e trascorrerò il mio volo guardando fuori dal finestrino per afferrare stralci di cielo e quanti più ricordi possibili, per trattenerli con me. E vi ringrazio per avermi letta per un anno intero, perché sapere di poter raccontare a voi tutto quello che mi succedeva a Berlino, le mie novità e vicissitudini di ogni giorno, mi ha permesso di fermare sulla carta tanti dettagli preziosi della mia vita che altrimenti sarebbero andati perduti, perché per dimenticare le cose non serve un caso eclatante di perdita di memoria, a volte basta anche solo essere prossimi ai trent’anni.